PREFAZIONE

PREFAZIONE

VINCENZO RABITO IL ROMANZO DELLA VITA PASSATA TESTO RIVISTO E ADATTATO DA GIOVANNI RABITO

Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso egualmente t’amerei.

Camillo Sbarbaro

Mio padre, come ben sanno i lettori di Terra matta, non e’ mai andato a scuola. Ha imparato a leggere e a scrivere da solo, come da solo ha imparato il mestiere di vivere e l’arte di lavorare duro per vivere meglio. Nello stesso modo ha imparato, da solo e pergiunta usando un medium tecnologicamente avanzato (almeno per i suoi tempi: la macchina da scrivere), a diventare scrittore della sua vita e aggiungerei anche del suo paese, della sua gente, forse addirittura del “suo secolo italiano”. Il Terra matta pubblicato nel 2007 da Einaudi, come dicono i curatori Luca Ricci ed Evelina Santangelo, non e’ altro che “una scelta dalle 1027 pagine del dattiloscritto originale”… e una scelta dalle 1486 pagine di un secondo dattiloscritto di Vincenzo Rabito (quindici quadernoni formato A4, da 100 pagine ciascuno “a interlinea zero, senza un centimetro di margine superiore ne’  inferiore ne’ laterale”) e’ anche questo ROMANZO DELLA VITA PASSATA curato da me. Ma quanti dattiloscritti esistono di Vincenzo Rabito allora? Originariamente sembrava ne esistesse solo uno, in mio possesso dal 1970, e da me donato all’Archivio di Pieve Santo Stefano, in occasione del Premio Pieve-Banca Toscana 2000, poi vinto proprio dall’opera di Vincenzo Rabito, in ex aequo con quella di Armando Zanchi. “Il capolavoro che non leggerete”,  il “ Gattopardo popolare” che non sara’  mai pubblicato,  contrariamente a tutte le aspettative, usci’ invece nelle librerie di tutta Italia nel 2007, e da allora quante riedizioni, riduzioni teatrali, un film…

Fu a seguito, e per causa forse, del successo di Terra Matta che io venni cosi a conoscenza dell’esistenza di un secondo quantitativo di dattiloscritti nella casa di mio fratello Turi, a Ragusa. Me l’ero completamente dimenticato, ma dopo la morte di mio padre, avvenuta nel 1981, ero stato proprio io a consegnare questo malloppo a mia cognata Lucia, per preservarlo dalla distruzione. Mia madre temevo avesse intenzione di buttarlo via, come fece infatti con tutto il contenuto della stanzetta dove  mio padre quasi in segreto, per ben 13 anni, aveva lavorato alla sua attivita’ di scrittore “inafabeto”.  Finirono cosi nell’immondezzaio  scrivania, sedie, macchina da scrivere Olivetti 22, e persino una quantita’ di diari, quaderni scritti a penna, documenti ed oggetti che costituivano forse gli appunti e i memorabilia di tutta una vita. Il malloppo sopravvissuto alla catastrofe e’ composto dai 15 quadernoni del secondo memoriale, da cui e’  stato tratto questo Romanzo della vita passata, da due altri quadernoni che sembrano suggerire un tentativo di terzo memoriale, e da un quadernone chiamato “Cantastoria”, dove si racconta, o meglio si riracconta, la storia cantata da un cantastorie a Firenze nel 1921-22, in Piazza Signoria, e ascoltata, evidentemente con grande attenzione e passione, da mio padre allora militare proprio nella “ bella cita’ di Ferenze”.  Nell’insieme Vincenzo Rabito ha dunque dattiloscritto quasi 3000 pagine, quasi tutte formato A4, di Terre Matte, storie e cantastorie, nel corso delle quali ha elaborato e perfezionato, e portato direi a compimento, un suo linguaggio particolare che e’ gia’ stato definito da qualcuno come “ il Rabitese”. Non solo. Dal narratore istintivo, immediato e selvaggio del primo memoriale, riesce nel secondo a trasformarsi in un narratore  pacato e fluido, attento, accurato nei dettagli. Uno che ha imparato bene la sua arte insomma, senza maestri e senza modelli, un professional della sua stessa originalissima scrittura al singolare.  Gli stessi incipit dei due memoriali testimoniano questo passaggio:

“Questa e’ la bella vita che ho fatto il sotto scritto Rabito Vincenzo…” comincia Terra matta. La bella vita, l’uso della prima persona, sembrano subito voler agguantare il lettore per la giacca…

“Questo il romanzo della vita passata di questo inafabeto del povero Rabito Vincenzo, che era nato…” comincia invece il Romanzo della vita passata. Usando la terza persona l’autore avverte subito il lettore che di romanzo si tratta, di letteratura, ma piu’ avanti nello stesso tempo lo riassicura dicendo che “a scrivire la mia vita passata, sia di bene e sia magare di male, certo che io ci doveva scrivere la vera vereta’, che non ci doveva scrivere  bucieie…”

Dalla “vita” semplicemente “bella” cosi come s’era presentata alla memoria quando ha cominciato la sua avventura di scrittore e’ passato ora, nel giro di qualche anno, al “romanzo della sua vita”, come se la vita di Vincenzo s’avesse guadagnato sulla macchina da scrivere un sostanzioso sostantivo che la sorregga e che la formi. Da notare poi che quando scriveva il secondo memoriale, non avendo sott’occhio il primo (in mio possesso a Bologna), non poteva certo confrontare gli episodi, le persone e le relative corrispondenze, per cui spesso, pur raccontando grossomodo le stesse vicende, si riscontrano notevoli differenze tra i due memoriali: episodi soppressi o episodi aggiunti, persone e situazioni nuove etc etc.

 

La consapevolezza di questa evoluzione e di queste differenze sostanziali nel contenuto e nei modi di raccontarlo, con in piu’ la completezza del racconto, che porta  “ la vita molto maletratata e molto desprezata del povero Vincenzo Rabito”, fino alla sua logica e inevitabile conclusione, mi ha convinto pertanto a una riduzione e trascrizione del secondo memoriale in quello che ora viene presentato ai lettori come Romanzo della vita passata.  Terra matta infatti si ferma al 1970, mentre Vincenzo continuera’ a scrivere fino a tre giorni prima della sua morte, avvenuta il 18 febbraio 1981. Tra l’altro io glielo avevo anche promesso, a mio padre, che mi sarei occupato del suo lavoro, e questo deve aver contribuito non poco a far si che anche sulla carta la sua innegabile vocazione di “cuntista” e “cantastorie” orale, esplosa nei fuochi “alto oficiali” di Terra matta, lo trasportasse alla lunga nel regno misterioso ma affascinante dei romanzieri, la terra di  “tutte queste romanze dallo scritore Alesantro Domise, come il romanzo di Montecristo, come il romanzo daie tre moschitiere, come il romanzo della signorina de compagnia, e come il romanzo del 20 anne doppo…”

Il figlio Ciovanne avrebbe sicuramente pensato a sistemare meglio il suo romanzo…

“perche’ io e’ vero che scriveva la mia vita passata, ma pero’ io la scriveva seconto linterlecenza che io aveva, e tante non la potevino capire, perche’ io alla scuola non ci aveva stato, e quinte Ciovanne che era assaie interlicente, che a 17 anne si nantato alloneverseta’, sempre mi laveva detto: papa’, scrivila la tua vita, che quanto tu papa’ a centanne muore, io ci posso fare uno bello romanzo di questa tua vita passata…”    

O ancora:

“e questo figlio Ciovanne mi a’ detto che questa vita che aveva passata io era una vita storeca, e quinte quelle che lanno letto questa vita passata mia ci a’ piaciuto assaie, che…questa mia passata vita di 60 anne fa era una vita preziosa, che la casa edetrice di Turino (!) questo libiro che aveva scritto io lo dovevino poblicare…”    

Ma quali sono state in breve le regole d’ingaggio, i criteri insomma d’ordine grossomodo filologico che ho seguito e applicato nel ridimensionamento e nella trascrizione del testo?

  • Ho regolarizzato in primo luogo la punteggiatura e i segni grafici e diacritici. Anche nel secondo memoriale mio padre infatti usa indiscriminatamente e ossessivamente il punto e virgola, quasi dopo ogni parola, spesso sostituito dai due punti, con apparizioni sporadiche del punto interrogativo e degli altri segni presenti nella macchina da scrivere. Le parentesi le ho usate solo per le pochissime parole aggiunte da me e alla H del verbo avere ho preferito l’accento.
  • Ho suddiviso il testo in Libri (Libro e’ il termine, scritto a penna, col quale mio padre intitola la maggioranza dei quaderni del suo secondo memoriale) e capitoli, dando un nome a ciascuno di essi.
  • Dapprima ho tagliato completamente gli episodi troppo ingarbugliati, o troppo personali. In un secondo momento ho eliminato (in toto o solo in parte) molti degli episodi gia’ presenti in Terra matta, specie quelli non necessari all’economia del racconto.
  • Ho eliminato spesso gli elementi grammaticali, anche all’interno di una stessa frase – o interi periodi – troppo ripetitivi o confusionari.
  • Ho corretto a volte gli errori piu’ o meno involontari di battitura laddove si intuisce chiaramente l’intenzione dell’autore, specie quando si tratta di parole funzionali alla comprensione del racconto
  • Ho diviso le parole tutte “ancucciate” (tutte unite cioe’), lasciando solo quelle facilmente comprensibili quali: allavorare, ammanciare…

 

Ho cercato in definitiva un equilibrio tra leggibilita’ e fedelta’ al testo, ma credo e spero di aver mantenuto nel complesso intatto il linguaggio tipico di Vincenzo Rabito, gia’ presente in Terra matta. La sua singolarissima scrittura, con la sua particolare sintassi, le sue continue invenzioni morfologiche e le numerose caratteristiche deformazioni lessicali (la l=r  per esempio di interlicente, fraterle, corterle…per cui “malatia di pelle”  diventa “malatia di perle”…e via discorrendo).  Ho attraversato insomma quella  caotica Amazzonia espressiva cercando di non sprofondare nelle sue sabbie mobili, e nel tagliare viluppi di liane e ramaglie troppo aggrovigliate credo e spero di non avere alterato di molto la primitiva bellezza di certe costruzioni vegetali, la stranezza lussureggiante di forma e di colore di quel fogliame sconosciuto. Se ci sono riuscito, non sta a me dirlo, lo devo certamente al fatto che io quella giungla la conosco bene. Oltre al fatto di averla frequentata assiduamente per piu’ di 50 anni nella mia vita da adulto, in quella giungla io ci sono anche nato e cresciuto.

Mi preme per finire ringraziare Saverio Senni, appassionato cultore di Terra matta, per l’aiuto prezioso prestatomi nei due lunghi anni di lavoro, e inoltre Matteo Fontanone, l’editor di Einaudi, per i suoi puntuali interventi, e Chiara Ottaviano, dell’Archivio degli Iblei, che ha fornito la foto di copertina del libro.

giovanni rabito