CAPITOLO 1

CAPITOLO 1

Questo il romanzo della vita passata di questo inafabeto del povero Rabito Vincenzo, che era nato il ciorno del 31 marzo dell’anno 1899 nel paese chiamato Chiaramonte Qulfe, di allora provincia di Siraqusa, nella via chiamata

Marcurzia, che era figlio di Rabito Salvatore e di Qurriere Salvatrice, che tutte 2, madre e padre, vinevino di famiglie povere e magare assai nomirose, che della parte del padre erino 8 li figli e macare 8 li figli della parte della madre.

Che poi magare il mio padre con la mia madre si sono sposate troppo presto,

che il mio padre chiamato Turiddu Salvatore si a’ sposato a 19 anne, che si a’

sposato un anno prima di fare il soldato, mentre mia madre non aveva ancora

18 anne. E quinte per causa a non avere solde per fare questo poverissimo matremonio si ne sono fuggite e questo matremonio a’ stato conzemato subito subito, senza essere sposate. Quinte queste due, chiamate uno Turiddo e la moglie Turidda Rabito, doppo sposatese anno deventato piu’ povere ancora.

Come a’ passato un anno a’ uscito il primo figlio e magare il coverno la’

chiamato a questo Turiddo Rabito per fare il soldato, che in quelle ebiche

miserabili il disonesto coverno del re Umperto alli soldate che si maretavino prima di fare li 21 anno alli moglie non ci dava neanche uno soldo al ciorno

di solsidio e quindi la mia povera madre Turidda restavo con il figlio che si chiamava Ciovanne, che per potere andare avanti si ne dovette antare come

persona di servizio nella crante famiglia del barone chiamato Coltrera Fontanazza, che ci davino a quadagniare per fare la serva lire 10 ogni mese.

Con queste lire 10 la mia madre doveva fare crescire al figlio e magare

poveretta doveva penzare per pagare la casa, che si laveva afetato nella stessa via chiamata Mancurzia, che pagava lire 2 al mese, che poi non era neanche casa ma era uno piccolo damuso e anche una lira al mese doveva mandare al suo marito Turiddo Rabito soldato, che ci restavano alla fine 5 lire al mese, che

queste 5 lire la povira mia madre si li a’ messo alla posta in uno libretto di risparmio, che quando veniva concedato il suo marito Turiddo e si meteva a lavorare si potevino comperare una bellissima casa. Che perdavero come il

suo marito si a’ concedato si nandato a lavorare magare lui in questo barone Fontanazza, che il suo padre Vincenzo Rabito ci aveva stato impiacato come ciardiniere di ciardino di arancie e mantarine. Per 4 anne di sequito il mio padre e la mia madre anno stato al servizio di questo barone e poi si anno licenziato, che anno uscito intanto altre due figli, che di uno siammo deventate 3: che il seconto era io, Vincenzo, e il terzo era Vito. Con lire 400 che si avevano conzarbate il mio padre e la mia madre penzareno di compirarese una casa, che si l’anno compirato nella via chiamata Forriere, che ci anno speso lire 350 tra mobile e casa, che ci anno restato lire 50. Pero’ questa casa che si anno compirato era bella di fuora e poie erano tutte fracite li mura, che questa casa compirata per nuova era come li crante putane di Palermo: belle di vista ma fracite di dentro!

Infatte recordo io e Ciovanne una ciornata che erino li feste di carnevale, che non si puole mai dementecare, che a’ venuto uno forte temporale e questa casa si a’ fatta piena di aqua piuvana, che per uno filo di capello tutta la famiglia non abbiamo muruto, e a’ cascato la casa e crazie a mio padre e mia madre che erino ciovane, e magare alle vecine, ci abbiamo potuto salvare. E cosi senza casa e senza soldi restammo in mienzo alla strada e quinte per potere refare questa casa ci volevino altre 200 lire e nessuno parente che ci lavesse potuto prestare, che erino tutte piu’ povere di noi. Cosi il mio padre con la mia madre penzareno di ventere questa casa tutta rovenata e magare piena di aqua, che si a’ trovato per subito il compratore che si chiamava il mascio Vito Cianninoto, che era questo di mistiero muratore, che ci la’ pagato lire 200. Con queste lire 200 e altre 50 lire che aveva di lato, il mio padre pensavo di prentere una campagna alla contrada chiamata Cicimia, che cerino 4 ettere di terreno, una casa e 100 albire di olive. Abbiamo afettato uno carretto per uno ciorno e ci siammo trasferite in questa campagna di Cicimia, che il conto che mio padre si a’ fatto era questo: che se ci veneva una buona racolta di olive avessemo potuto compirare una casa una altra volta a Chiaramonte, che il mio padre avesse auto il piacere di mantare a tutte e tre li figlie maschile alla scuola.

Ma queste belle conte al mio padre con la mia madre non ci anno riuscito,

che siammo state in campagna 4 anne e le raccolte venniro una piu’ miserabile dell’altra, tanto che mio padre si ne dovette antare a lavorare nella provincia di Catania e lunica racolta buona di mio padre fu quella che ci anno uscito altre 2 figlie, uno altro figlio mascolo e una figlia femmina, e poie che a’ passato un anno unaltra figlia femmina che avemmo diventato 8 e in quella campagna non potiammo campare piu’, che il figlio piu’ crante, Ciovanne, aveva 9 anne e io Vincenzo ni aveva 6. Quinte il mio padre pensavo di lasciare questa campagna che ci avemmo auto tanta perdita e cosi siammo antate tutte a Chiaramonte, che ci abiammo afetato uno crante dammuso per lire 5 al mese. Con questa lasciata di campagna pareva che ci lavemmo a passare piu’ meglio e invece ci siammo rovenate piu’ assaie, che come passavo ancora un altro anno il mio padre morio con una malatia di pormunite, che perciunta la mia madre era cravita di una altra bambina, che cosi morento il mio padre alla aita’ di 41 anno la mia madre restavo vedova a 39 anne e 7 figlie a fare crescire, 4 maschile e 3 femmene. E quinte mia madre, non volendo fare la butana, perforza doveva fare la persona di servizio di qualche benestante, che ci faceva una o due ore di servizio, che poi queste desoneste benestante non la pagavino neanche a soldi ma la pagavino chi ci dava 5 chila di farina e chi ci dava uno litro di oglio. Quinte la mia madre sempre si acontentava, il necesario che dava ammanciare alle suoie 7 figlie e non farle morire di fame. Ma certo che alla scuola non potemo andare, neanche alla prima elimentare, perche’ la mia madre non poteva compirare neanche li quaterne e quinte restammo tutte inafabeto e poie magare dovemmo antare allavorare cosi picole che erimo, che io recordo mi ne sono antato ne quello signore chiamato cavaliere don Cicino Rizza che ci aveva una campagna alla contrada chiamata Murana, 7 chilomitre lontano da Chiaramonte. Il padrone ci aveva 5 capre e io con queste 5 capre sira e matina ci doveva portare il latte a Chiaramonte per quadagniare lire 10 al mese, che queste lire dieci non mi abastavino neanche per li scarpe che destroceva, che li scarpe si fenevino prima che si fenevino li lire 10. Poie recordo che io il pecoraio non lo voleva fare perche’ voleva fare il contatino, ma la mia madre sempre me lo diceva: figlio mio lascia che passeno altre 2 anne che divente piu’ crante e cosi ti ne vaie a lavorare in campagna e faie il contatino. Ma io questo raggionamento non mi aveva piaciuto maie e poie che queste capre erino assaie dannose, che dorante la strada per antare a Chiaramonte si avevino manciato tante alberelle, io mi sono arrabiato e ci o’ terato uno bello corpo di pietra a una di queste crape e ci o’ rotto una campa.

Che come io o’ visto la capra con quella campa rotta mi sono preso di paura e mi ne sono scapato. Quinte mia madre stessa mi a’ detto di non ci antare piu’ e cosi invece me ne sono andato allo paese di Vettoria, che recordo era il tempo di vendegnia e mi poteva impiacare a piciotto a straportare racina con qualche mulo, opure con qualche cavallo, opure con qualche buono scecco. O’ trovato a unaltro piciotieddo come me che si chiamava Ciovanne Scifo, che per subito ci abiammo fatto compare, e cosi recordo che era una sera di festa di santo Vito, che magare alli ore una doppo menzanotte si sparava il ciocofuoco, io e questo compa’ Vannino Scifo abbiamo partito da Chiaramonte, sempre a piede, che da Chiaramonte a Vettoria cerino 20 chilomitre di strada, e quinte certo che dorante la strada manciammo racina, fico e ficupale, perche’ neanche pane ci avemmo portato, perche’ alli nostre madre non ci labiammo detto che noie ci nantassemo a Vettoria, che ci avesseno potuto proibire. Cosi revammo alla piazza di Vettoria che li cerino tante chiaramontane che come mi anno visto mi anno detto: – o Vincenzo, figlio della buonarma di Turiddo Rabito, che seie venuto a fare qui tu a Vettoria?

Quinte io ci ho detto che era venuto a Vettoria per venire a cercare lavoro, a raccogliere racina. Lo compare Vannino Scifo a’ trovato a uno suo zio che si la’ portato colluie e io mi ne sono antato con 6 contatine operaie chiaramontane che mi anno detto: tu Vincenzuzzo, figlio della buonarma di Turiddo Rabito, ti ne viene a lavorare con noie a straportare racina con uno cavallo che cosi il lavoro ene assaie liggiero, che staie sempre a cavallo e il padrone ti paga a lire 0.50 al giorno. Io penzava che quardando capre mi davino lire 10 al mese e doveva fare sicuro 14 chilomitre a piedi dogni giorno, e ora con lire 15 al mese doveva stare a cavallo e poie manciare racina tutte li ciorne. Quinte io aveva trovato una crante fortuna e certo che il mio padre era povero ma pero’ ci aveva lasciato tante bedde amice! Cosi io con queste 6 uomine mi ne sono antato nella contrada chiamata Vastonaca, che come sono revato il padrone mi a’ conzegniato uno cavallo per straportare la racina che racoglievino queste 6 operaie chiaramontane. Quinte recordo che io o’ fatto li prime 2 ciorne, che aveva quadagniato una prima lira a 10 soldi al giorno, ma per me ci a’ stato unaltra crante fortuna, che uno di queste 6 paesane ci a’ preso una febre a

39/40 e quinte, secome li uomine che dovevino racogliere uva dovevino essere perforza 6, tutte anno detto, magare il padrone, che ora al posto di questo malato ci metiammo a Vincenzo Rabito, che magare che non ene capace di carecarese la cesta e meterla sopera il cavallo, perche’ Vincenzo ene picciriddo e curto curto e non ci arriva, la cesta sopera il cavallo ci la metiemmo noi!

Quinte recordo che loperaie quadagniavino lire 2 al ciorno e cosi io pure quadagniava lire 2 al ciorno come li uomine. Abiammo fatto 15 ciorna di questo lavoro e in 15 ciorne o’ quadagniato lire 30. Che bella e crante fortuna a’ stato questa, tanta salute a Vito Inzierro e tanta salute alli bedde amici di mio padre e tanta salute magare a Mariano Vegniazza, che di picciriddo che era mi anno fatto passare per uno uomo di 20 anne!

Cosi fenento queste 15 ciorne di lavoro, che a me mi anno dato lire 28, tutte spiciole, io aveva una calzetta tutta sporca e ci li o’ messo dentro e mi lo’ messo dentro la mia peterina, che o’ botenato la cammicia e la ciacca, che io nella mia peterina pare che ci aveva messo una nirata di struniedde e quaie chi la tocca! Alla fine il padrone ci a’ recalato 15 chila di racina e poie magare 30 cocia di sarda salata e poie magare 10 litra di vino della contrada Bastonaca, che e’ lo piu’ migliore vino delle campagne di Vetoria. Quinte recordo che queste brave amice di mio padre ci avevino uno scecco per uno, cosi chi mi a’ portato la racina, chi mi a’ portato il vino, che magare a me mi anno messo a cavallo, dalla contrada Bastonaca abiammo partito la sera alli ore 20 e alli ore 24 amenzanotte siammo revate a Chiaramonte, che queste molto brave amice della buonarma di mio padre tutta quella robba mi lanno portato perfina alla mia casa. Cosi come si a’ sbegliato la mia madre mi anno detto: – buona notte Vincenzo! E si ne sono antate. Mia madre subito mi a’ venuto abraciare, che mi a’ detto sempre baciantome e magare piancento: figlio mio perso dove sei stato? Che io per subito ci responto: cara madre io non sono il figlio perso ma sono il figlio fortenato, quardate quante bedde cose da manciare che vi o’ portato! E poie che si anno arzato tutte li mieie fratelle e li 3 mie sorelline, che come anno visto quelle 15 chila di racina quella notte sicuro che si ni anno manciato uno chiloemenzo peruno e poie che io ci o’ detto alla mia madre: mamma prentete il crefone, quanto vi faccio vedere quante solde o’ quadagniato in queste 15 ciorne che o’ mancato di Chiaramonte. Cosi prento quella carzetta sporca dalla petorina, con tutte quelle solde, tutte a palancone e tutte a soldo a soldo, e li metto dentro quello crefone e cosi tutte li mieie fratelli e li mieie sorelle si anno messo a contarle, tutte spaventate di quante solde Vincenzo aveva portato, e la mia madre sempre facentose la croce, che era tanto contenta la povera della mia madre che magare pianceva. Pare che

Io aveva venuto di Noveiorche a portare queste assaie solde. E cosi ci a stato una bella notte di allecria nella mia casa, che la mia povera madre come si a’ fatto giorno a’ preso 8 lire e antato a compirare uno sacco di farina di 100 chile inne uno reventeture che si chiama Peppe lo Ramato, che per uno mese ci aveva il manciare per li suoie 7 figlie. Poie a’ preso altre 5 lire e si nanto’ nel necozio della donna Turidda la Calla e a’ compirato tante robbe per vestire alli suoie figlie.

Recordo unaltro particolare caso, che un ciorno dentro la nostra casa a’ venuto uno certo parente della mia madre, che di nome si chiamava Rafaele lo Picireditto, che aveva di bisognio uno piciotieddo per poie portarasillo nel paese chiamato Crammichele, lontano da Chiaramonte 30/40 chilomitre.

La mia madre mi ci a’ voluto mantare a me perche’ il mio fratello piu’ crante non ci a’ voluto antare e oramaie la mia madre si aveva asicurato di me, che io era lo piu’ bbravo di tutte li suoie figlie. Cosi abiammo fatto il patto di quanto mi doveva pagare, voldire 3 tumina di crano al mese, e a me mi doveva dare ammanciare, quinte la mia madre che propia in quella ciornata non aveva niente da manciare ci a’ detto allo Rafaele Picireditto, che magare io ci lo’ detto: – prima di partere mi dovete dare una mita’ di paga come caparra!

E questo Picereditto ni a’ detto: – va bene! Che cosi mi a’ dato 2 tumina di crano, piu’ assaie della mita’, che mia madre con quelle 2 tumina ci aveva il manciare per 8 ciorne. Quinte per la mia madre era io un tesoro di figlio, che quello che portava in casa era sempre il figlio Vincenzo. Cosi recordo questo Rafaele Picireditto mi a’ fatto alzare a menzanotte, mi a’ fatto mettere a cavallo a uno sciecco e alli ore 7 siammo revate a Rammichele. Certo che io avento stato per 7 ore a cavallo a questo sciecco mi sono rovenato e inzanquinato tutto il culo, che per quella ciornata come coscienza non doveva antare a lavorare, ma secome erino li ebiche miserabile che il povero perforza doveva essere calpistato non cera niente a che potere recramare,che se uno arrecramava era peggio. Quinte recordo che il padrone, chiamato massaro Michele Aledda, che era lo piu’ zaurdo e lu piu’ cornuto del paese di questo Rammichele, come sono revato con questo Rafaele Picireditto, invece di direce: arreposateve, manciate che siete stanche… ci a’ detto alla sua moglie: Carmela, prepara il manciare che ene tarde e oggie dovemmo antare con questo Vincenzo chiaramontano a Menzarone a zzappare li fave!

Ma la sua moglie Carmela ci ha detto: Michele oggie piove, non ci antare in campagna, faie arreposare allu caroso che ave dalla menzanotte che ene alzato! Allora questo crugnio Michele ci a’ dato una quardata acressiva alla sua moglie col direce: tu non ti ammiscare! Che io, cosi picolo che era, mi li sono tirate li conte che queste 2 marito e moglie non antavino di pieno acordo, ma comunque io era piccolo e non contava e mi doveva stare muto perche’ questo zaurdo di massaro Michele era nella vista magare una cosa fetusa, e quinte se io parlava mi poteva dire:- faie silenzio perche’ altremente ti do 2 prate nel culo e retuorni a Chiaramonte!

Cosi questo desonesto Michele mi a’ dato una mula e unaltra mula si a’ preso luie e via per antare a Menzarone, che cera 20 chilomitre di lontananza. Quinte io povero Vincenzo, che aveva il culo inzanquinato, mi sono rovenato piu’ assaie, ma che cosa ci poteva fare che io era nato propia per bestimiare e fare questa brutta e descraziata vita! Come revammo a Menzarone, che non cera neanche una casa ma solo uno pagliaio fatto di frasche, si a’ messo a piovere che ci abiammo bagniato tutte, che il massaro Michele invece di dire: – la mia moglie Carmela aveva ragione! Mi ha detto: Vincenzo che brutta giornata che ene oggie, non ci abiammo quadagniato neanche laqua che ci abiammo beuto!

Sentite che ebiche descraziate che erino queste del 1910!

Cosi questo zaurdo di massaro Michele Aledda, doppo che ci abiammo bagniato dalla testa alli piede, che stapiemmo tremanto dello freddo, mi a’ detto: Vincenzo prente le mule e cravaccammo e ci nantiammo unaltra volta a Rammichele! Che come revammo a casa, tutte bagniate, invece di direce alla moglie: Carmela ci aie assaie raggione, vede che siammo bagnate, per favore accente il fuoco che ci asciucammo! Ci a’ sputato nella faccia e una tempolata ci a’ dato, che io vedento cosi o’ detto tra di me: ma chi diavolo mi ci a’ portato a venire a lavorare in questa maledetta famiglia!

Alla sera, come abiammo fenito di manciare, la signura mi a’ detto: – cammina Vincenzo che ti porto nel letto dove tu ti deve corcare… e perdavero mi a’ portato nella stalla dove cerino li mule. Cera uno pezzo di manciatoia co uno po’ di paglia e quello era il mio letto. Ma io di come era stanco, e poie con quello culo inzanquinato, magare che mi avesse detto la signora: – Vincenzo tu devi dormire per terra ! Io ci avesse dormito lo stesso perche’ era stanco muorto. Ma comunque la signura, tanto brava, mi a’ giustato questo letto dintra a questa manciatuia, che ci a’ messo 2 coperte sopra la paglia e altre due coperte ma’ dato, e cosi mi a’ detto: Vincenzo, figlio mio, puoie dormire, che quello cornuto del mio marito Michele quanto noie non antiammo diacordio si ne viene a dormire in questa manciatoia! Quinte cosi dalla prima ciornata o’ capito che famiglia desoneste che erino, che la moglie prenteva per cornuto al marito. Cosi con quella parola figlio mio mi a’ passato la vercognia e ci o’ detto: – Signura, ci lo dico come se fosse la mia madre, vedesse quanto sanquie io ci o’ nel culo con il stare per tutta la ciornata a cavallo… e per davero la signura mi a’ visto il culo, che laveva pieno di sanque, e mi a’ detto:- Ora Vincenzo non ti confontere, che io escio e vado nel farmacista, che mi faccio dare una pomata e cosi ci la metti e cosi il culo ti arefrisca! E perdavero la signora Marianna si nantato a compirare una pomata e per subito mi a’ detto:- Vincenzo, figlio mio, io ti metto questa pomata nel culo come se tu fosseto uno figlio mio, compure che io figlie non ci no’ perche’ il mio marito non ene stato capace a fareme fare uno figlio opure una figlia… e poie mi a’ detto: Vincenzo abasate li motante che ti ci metto la pomata nel culo… e perdavero cosi io mi sono abasato li motante e questa si a’ messo a strecare pomata, che poie non mi strecava la sola pomata nel culo ma magare in quella picola cosa che io possedeva, che mi la’ fatto atesare, che questa crante butana si la voleva manciare a muzzicone.

E quinte sono cose che a me mi viene magare la vercognia a scriverle, che questa signura si aveva rescardato tanto, che io a cosi picolo che era, che aveva 10-11 anne, questa butana signora sopra di me a’ fatto quello che ci a’ piaciuto. Ma io certo che non la poteva maie maie sodesfare e quella prima notte non potte dormire, ma pero’ con quella pomata che mi a’ messo nel culo il culo mi a’ passato. Certo che io quella notte con quello tanto assaie strapazzo mi a’ venuto una tusse fortissimo, che come venne la dominica io alla signora ci o’ detto, magare al suo marito, che mi facessero vedere di uno dottore per potereme quarire questa tosse perche’ altremente io mi ne scapava per Chiaramonte. Ma la signora Marianna non voleva che io mi nantava della sua casa, che forse la mia presenza ci aveva dato piacere, cosi picolo che io era.

Quindi recordo invece mi diceva questa donna:- Vincenzo se tu vaie diacordio con il mio marito Michele nel lavoro e in tutte le descorsione, nella nostra casa

puoie stare perfina che ti chiamino per soldato, che noie figlie non ci nabiammo e a te ti teniammo e ti respetiammo come fosseto uno nostro figlio.

Quinte per davvero mi anno chiamato al dottore e mi anno fatto fare linezione contro a la tosse e quinte di manciare io manciava tutto quello che voleva, ma pero’ cerino 2 crante motive che io non poteva maie maie soportare . Uno che quello zaurdo dello massaro Michele Aledda per antare a lavorare sempre mi chiamava alli ore 2 di notte e doveva lavorare perfina alla sera, e poie alla sera doveva fare contente magare a questa butana donna Marianna, che io cosi picolo che era la doveva acontentare, che se lavesse saputo la mia madre con questo affare scantaliuso certo che questa donna lavesse fatto antare in calera, e se lavesse saputo il maresciallo deie carabiniere avesseno metuto magare in calera a questo cornuto di massaro Michele Aledda. Io questa brutta vita non la poteva fare e quinte doveva studiare di come mi avesse potuto scapare di Rammichele e allontanareme di questa desonesta famiglia, compure che mi volevino tanto bene come uno suo figlio. Uno ciorno siammo antate a lavorare nella contrada chiamata Ciurfo, propia vecino della contrada chiamata Tichiara, che questa Techiara ene terretorio di Chiaramonte e per antare a Chiaramonte cerino solo 8 chilomitre di strada. Cosi questo massaro Michele come mi a’ fatto alzare alli ore 2 dopo menzanotte, ci siammo messe a cavallo alli mule e abiammo antato in questa contrada chiamata Ciurfo, che io recordo che quella nottata cera uno bello chiarure di luna e la strada che faciemmo, giusto che pareva ciorno, di dove passammo e passammo io me la studiava tutta. E cosi in quella notata mi o’ imparato tutte li punte della strada e o’ ciurato che nella notte che vineva mi ni scapava. E perdavero cosi o’ fatto. Come abiammo fatto la ciornata di zappare li fave ci ne siammo retornate a Rammichele e io mi sono messo pronto per fare questa fuca, come fuchino li delenquente dalle carcire.

Cosi alla sera abiammo manciato quanto piu’ bene che potiammo manciare, speciarmente io che doveva scapare e cosi, come tante altre sere, quello cornuto di Michele ci a’ detto alla moglie Marianna: qualda che sono li ore 8, faciammo corcare a Vincenzo che domane ci doviammo alzare presto, non alli ore 2 ma ci dovemmo alzare alli ore una e menza!

Io senteva questa descorsione ma pero’ non parlava. La signura Marianna come tutte li sere prenteva una bertola, che dentro questa bertola ci meteva una crante pagniotta che sicuro pesava 3 chile, e poie ci meteva una barelotta con 3 litra di vino e una crossa cipolla e uno pezzo di formaggio, e poie ci meteva menzo chilo di olive salate e questo era il manciare che io e il massaro Michele ci dovemmo manciare nella ciornata. Cosi ce ne antiammo nella stalla io e la signura, con questa bertola, che io per subito mi corcava e la signora voleva essere acordata come io fosse uno uomino di 20 anne, e io non la poteva acordare come diceva leie, che per acordarla io doveva avere li atrezze che ci ave uno cavallo; ma pero’ sempre si acordava lo stesso con questo picolo passatempo. Cosi come mi a’ fatto corcare, mi a’ baciato e mi a’ detto:- Vincenzo se aie bisognio una coperta, che sente freddo, te la porto!

Ma io penzava solo che doveva scapare e ci o’ detto: non ci o’ di bisognio!

Come mi o’ corcato certo che non poteva scapare se prima non senteva sonare loralogio della chiesa che sonava li ore 11, che questa casa era vecino alla Piazza, e poie magare per potere scapare non ci doveva essere nessuno che camminava paese paese, che non ci doveva essere li quardie municepale, che poie doveva penzare che queste 2 desoneste marito e moglie dovevino dormire e dovevino arrompare. E perdavero anno suonato li ore 11, mi sono alzato, mi sono attaccato li scarpe, poie o’ aperto la porta della stalla, o’ quardato lario ed era scoperto e uno bello luce di luna cera e magare nella strada non passava nesuno. Quinte io per subito mi sono preso la bertola con quello manciare, che poteva pesare 7/8 chila, mi la sono carrecato sopera li spalle e partio di corsa corsa che pare che io avesse scapato del carcire.

Cosi sempre di corsa corsa o’ traversato questo paese, che ebbe assaie fortuna che in quello momento non a’ passato nesuno delle strade, e neanche uno cane siento abaiare. Cosi o’ uscito il paese, che o’ preso la strada precisa che avemmo fatto prima con quello zaurdo massaro Michele Aledda. Che io mi sono messo a camminare non come cammina uno uomo recolare, quanto cammina a piede, ma correva come una lepere quanto ene persequitata dalli cane cacciature. Tanto che da Rammichele o’ partito alli ore 11 prima di menzanotte e alli ore 6 sono revato alla contrada chiamata Tichiara. Sono revato tutto sodato e una tosse forte che io aveva, che mi facevino male tutte li spalle e magare il petto, ma di queste dolora non mi ne suno corato, il necesario che mi a’ passato la crante paura, che io sospetava che dorante la notte avesse sbegliato quello cornuto di massaro Michele Aledda, che si navesse antato nella stalla e non trovantome avesse preso una di quelle suoie mule e mi avesse venuto a trovare lunco la strada, e mi avesse ammazato a bastonate. Come sono revato alla Tichiara, terretorio di Chiaramonte, che ci aveva stato tante volte, mi sono fatto la croce e per terra o’ baciato, che alla Tichiara pare che avesse revato a casa mia. In questa Tichiara cera il fondaco che facevino sosta tutte li carretiere che antavino e venevino di Catania, di Vettoria, di Comiso, di Chiaramonte, che queste carritiere erino commerciante che portavino oglio e vino e altra merce a Catania e retorno. Al fondaco della Tichiara cera il tabachino che ventevino sicarette e magare tutti li spece delli cenire alimintare, e poie che magare cera la tratoria che facevino manciare, il forno che facevino il pane e tanti altre cose che ci sono di bisognio nelle famiglie. Poie recordo che il padrone di questo fonteco, di questa tratoria e di questo cenere alimentare e di questa riventita di sicarette, era chiamato il massaro Ciovanne Inzeca, che ciusto ciusto era uno crante amico della buonarma dello mio padre, che magare si chiamavano compare con il mio padre, e poie che magare ci aveva uno figlio che si chiamava Rafaele che ci chiamammo compare magare noie. Quanto ci avemmo la campagna a Cicimia tutta la famiglia il manciare lavemmo compirato in questo massaro Ciovanne Inzeca, e quinte erimo amice antiche. Come mi anno visto marito e moglie si anno fatto la croce, si anno spaventato e mi anno detto: – Vincenzo chi ti ci porta qui alla Tichiara cosi presto? E cosi io ci ho racontato tutta la storia, che la mia madre mi aveva mantato a lavorare come carzone a Rammichele e secome mi tratavino male io mi ne sono scapato e ora staio antanto a Chiaramonte perche’ mi pare che questo descraziato padrone mi avesse venuto a prentereme e mi avesse dato tante bastonate, e sono qui per essere difeso di vossia massaro Ciovanne , amico e compare della buonarma del mio padre Turiddo Rabito. Allora recordo che questo bravo uomo, con la sua moglie, mi anno fatto entrare dentra alla sua casa come si avesse stato uno deie suoie 3 figlie, mi anno dato una tazza di late e café e uno pezzo di pane che io mi lo’ minuzzato nella tazza. Cosi mi anno fatto manciare e mentre che io manciava si alzato il suo figlio Rafaele e certo che io a tutta la famiglia con quella venuta a piede di Rammichele ci o’ fatto tanta meraviglia. Ma il massaro Ciovanne Inzeca mi a’ detto:- Vincenzo non avere paura piu’ ora che seie revato qui alla Tichiara, che se viene a cercarete questo cornuto di massaro Michele Aledda ci li rompiemmo noi li corna! E cosi ci siammo messe a ridere tutte!

Cosi io recordo che mi sono reposato in questa casa dello massaro Ciovanne Inzeca per 2 ore, sempre in comitiva di questo mio compare Rafaele Inzeca, che voleva essere racontato che cosa io aveva fatto a Rammichele e se cera il cinema, come se questo Rammichele avesse stato la cita’ di Catania, senza penzare che Rammichele era miserabile come il nostro paese di Chiaramonte.

Dopo avereme reposato io o’ rencraziato a questa famiglia Inzeca e mi sono messo la bertola sopera li spalle e o’ preso la strada che antava a Chiaramonte, che cerino 8/9 chilomitre. Ma come o’ fatto li prime 2 chilomitre mi sono fermato in una campagna che ci abitava una sorella della mia madre, che si chiamava la zia Peppa, e quinte ci volle fare una visita. Io sapeva che questa zia Peppa era una miserabili donna che non ci dava uno recalo a uno nipote magare che ci avesse visto morte di fame, tanto era ecuista e prucchiusa, compure che era senza figlie. Pero’ io pensaie che mi doveva presentare senza quella bertola piena di manciare, perche’ questa miserabile zia mi poteva dire:- Vincenzo damme quello pezzo di formaggio che io ti lo campio con 10 uova.

E quinte nella strada cera uno tompino per laqua piuvana, io ci o’ messo la bertola e mi sono presentato in questa pedocchiusa zia Peppa a mano vacante.

Come mi a’ visto, la zia Peppa invece di direme: Vincenzuzzo, sei stanco, reposete che ti do da manciare! Mi a’ rimproverato che non poteva stare a nesuna parte a lavorare e che era il figlio lo piu’ maleducato della sua sorella. Io lo sapeva che cosa era questa miserabile zia Peppa e per prenterla per fessa,

o’ visto che amienzo 30 calline e polastre e gallette cera uno crosso gallo che camminava zuoppo, cosi ci o’ detto:- Zia Peppa, vedete che a questo gallo con la campa rotta ci cala la musca e vi fa morire tutte li 30 podascie e galline!

E per davero questa zia si a’ impresionato tanto che mi a’ detto:- Vincenzo per favore portatelo con te questo gallo… e per davero ma’ dato il gallo zuoppo e poie mi a’ recalato 10 uova. Quinte io la buona racolta laveva fatto, cosi ci o’ detto tante crazie a questa zia Peppa e ci o’ detto che questo gallo a Chiaramonte tutta la famiglia ci lo manciammo alla salute della zia Peppa e del suo marito Mariano, che era piu’ procchiuso di leie, ma questo non ci lo’ detto.

Cosi partio di questa mia zia. Il gallo lu o’ messo dentra la bertola, licato, e li uova li o’ truciniato in uno pezzo di carta, e partio per Chiaramonte sempre a cavallo alli scarpe, che come sono revato a Chiaramonte mi a’ preso una febre forte e poie quella forte tusse che io aveva gia’ di Rammichele. La mia madre tutta si a’ compuso, che ci pareva che io aveva preso una malatia di branchite

e permonite, che per subito poveretta voleva chiamare allo dottore Nicosia, che io con questa malatia avesse potuto morire come a’ muorto il mio padre, suo marito. Ma io non era assaie malato, ma era la mia una malatia di stanchetudine, che io aveva fatto tanta strada a piedi e poie era magare malato perche’ mi aveva fatto lavorare quella crante putana moglie di quello massaro curnuto del Michele Aledda che mi poteva essere madre e io cosi picolo ci doveva dare sodesfazione! Cosi ci o’ fatto coraggio alla mia madre e ci o’ detto:- Mamma, lasciate che io mi reposo 4 ciorne che poie mi viene la salute!

Certo che la mia madre volle sapere il perche’ io mi ne sono scapato di Rammichele e io ci o’ detto che questo padrone mi faceva lavorare il ciorno e poie magare la notte, ma non ci la poteva dire tutta la vereta’ perche’ neanche ci lo sapeva dire il motivo preciso. Poie ci o’ detto:- Cara madre, quardate nella bertola e vidite che cosa vi o’ portato di manciare! Mentre anno venuto li mieie fratelle colli mieie sorelline, che come anno visto il gallo lo anno preso e a cosi zuoppo, povero animale, lo anno cominciato a farlo camminare casa casa, mentre a’ vinuto il mio fratello Ciovanne e Vito e per subito lo anno ammazzato tagliantoce la testa co uno cortello e lanno poie spelato, poliziato, e poie messo nella pigniata a cucinarlo. Che la mia madre sempre lu aveva racontato, che alla sua sorella Peppa nesuno aveva reuscito a futerece il manciare, perche’ era troppo miserabile, e il suo figlio Vincenzo era stato capace di farese dare uno gallo zuoppo e 10 uova!

Cosi io mi sono corcato e li mieie fratelle e sorelline quanto anno visto che nella bertola cera magare il vino, il formaggio, e quella crante pagnotta di 3 chile e li olive salate, si anno messo subito a manciare. E il gallo cucinava, che il mio fratello Ciovanne e il mio fratello Vito, che erino li piu’ crante, si anno seduto vicino alla pignata che non vedevino lora che il callo cucinava. Infatte,

come la pentola a’ cominciato a bollire, il mio fratello Ciovanne a’ scippato unala di questo callo e a’ cominciato a manciare e mio fratello Vito magare.

Io che quardava dal letto mi arrabiava, ma come o’ visto che queste mieie fratelle sequitavano a manciare mi suno tirato il conto che questo callo prima di essere cuotto si feneva e io che laveva portato restava senza manciaremene

un poco. Cosi compure che era malato mi alzo dallo letto, vado dove cera la pignata e mi prento uno pezzo di coscia di questo callo e mi sono messo a manciare, menzo cotto e menzo crudo. Come a’ venuto la mia povera madre per vedere se il gallo era cuotto, per manciarlo a menzociorno, non a’ trovato neanche li ossa dentro la pignata e a’ detto:- figlie mieie lo poteve lasciare cuocere che manciato crudo vi puole fare uno dolore di pancia!

Ma a noie il manciare non ni faceva niente, perche’ il manciare ci aveva fatto sempre bene nella pancia, perche’ erimo povere ma ricche di salute. Che poie trovanto il lavoro stapiemmo meglio ancora delle rechezze, e il male era che a Chiaramonte non cera nesuno lavoro, che perforza si doveva morire di fame e de desperazione. E senza potere trovare il lavoro certo che doveva scopiare una querra, che infatte a’ scopiato, che era la querra di Tripole. Ma la querra di Tripole si a’ vinto ma avesse stato meglio che non si avesse fatto. Che si aveva conquestato Tripoli e si avevino conquistato tante uomini servaggie, e poie la terra di Tripole non zi poteva cortivare, che era tutto sabia, e alli uomini e alla femine sarvaggie nere ci dovemmo dare a manciare noie italiane.

Quinte erimo arrevate al 1913, che si a’ cominciato a dire che doveva scopiare una querra montiale, che si dovevino destrucire 2 crante impere, uno limpero della crante Cermania che voleva comantare tutto il monto, laltro era limpero della Austria di Francesco Ciuseppe, e quinte quelle che si dovevino lottare con queste impere erino la Francia e Linchilterra e noie italiane, e magare la crante Russia si aveva alliato con li nostre lottatore. Cosi tanto si a’ detto e tanto lo portavino tutte li ciornale, perfina che perdavero questa querra montiale a’ scopiato, nellanno 1914 nella Francia e nellanno 1915 a’ scopiato magare nella Italia, che noie italiane dovemmo compattere contra li piu’ crante nemice austriace che non ci avevino voluto dare queste 2 cita’ che erino italiane: la cita’ di Trento e la cita’ di Trieste. Il 24 maggio perdavero Litalia a’ chiamato prima di tutte 15 chilasse, dal 1880 al 1891 e poi a’ chiamato il 1892, il 93, il 94 e magare quelle che erino del 1895, che il 96 era ancora che non aveva fatto li anne 20. E quinte questa micidiale querra a’ cominciato troppo sanquinosa, che uomine ni morevino piu’ assaie delli bambini che nascevano, e poi magare iI coverno a’ requisite tutte li mule e li cavalle e li scecche. E allora cosi il lavoro nellitalia cominciavo adessere abontante e tutto questo lavoro lo dovemmo fare noie uomini piccole e magare le femmine, tanto che uno contatino, prima di scopiare la querra, una ciornata di lavoro ci la pagavino lire 2 mentre ora al ciorno ci davino lire 10. Cosi io conli mieie fratelle Ciovanne e Vito dogni setemana quadagniammo ora 60 lire e Vito, che era piu’ picolo, quadagniava 5 lire al ciorno. Quinte la mia madre, poveretta, era ricca con queste 3 figlie crante che ci lavoravino, che arrevava a prentere quase 150 lire alla settimana.

Il lavoro cera dove si antava antava, non cera tanto bisognio di antare a paese forostiere a cercare lavoro, ma pero’ secome noie erimo per natura amante di antare ceranto , e secome padre non ci nabiammo e non cera nessuno che ci comantava, faciammo tutto della nostra testa. Cosi abiammo preso il treno e ci ne siammo antate a Catania, che siammo antate a lavorare nella contrada chiamata Cucumedda, nella proprieta’ del signore chiamato don Caitano Lomonico, che abiammo fatto uno mese di lavoro e abiammo quadagniato lire 200 per uno. Pero’ una mita’ labiammo mantata alla nostra casa e laltra mita’ labiammo tenuta noie, che tra antare alla tratoria, tra pagare il letto per dove ci avemmo a corcare a Catania, e per antare a vedere lopira deie pupe e per antare al cinema e a qualche butane, li solde si anno fenito. Cosi unaltra volta abiammo preso il treno e io e il mio fratello Vito ci ne siammo antate unaltra volta a Chiaramonte ma il mio fratello Ciovanne a’ restato a Catania. Certo io mi terava il conto che ora che aveva deventato crante mi doveva compirare li belle vestite, che magare mi piaceva di potereme fare fidanzato co qualche biduzza piciotedda, come avevino fatto sempre li ciovene quelle piu’ crante di me. Ma io mi trava li conte senza loste. Poie che io aveva ancora 16 anne e per chiamare a me soldato mi credeva che mi dovenino chiamare allaita’ di 20 anne, quinte io mi sono fatto il conto che per chiamare a me soldato ci volevino altre 3 anne e la querra non poteva dorare assaie. Poie magare penzava che prima di chiamare a me dovevino chiamare al mio fratello Ciovanne, che aveva 3 anne piu’ di me. Infatte passavo poco tempo e il coverno a’ chiamato altre 8 chilasse, che a’ chiamato magare a quelle che avevino 44 anne, e quinte magare a’ chiamato alla chilassa del 1896, che era propia la chilassa del mio fratello Ciovanne. Che poie sicome si a’ trovato un poco malato, che ci aveva la febre malareca, non zi lanno preso e lanno fatto revedibile per poie chiamarlo nella chilassa del 1898. Quinte io era aposto e lavorava e portava solde alla mia madre, che sapeva che erimo senza casa e magare con 3 figlie femmine a maretare, che come adeventavino di 15 e 16 anne li dovemmo maretare. Io era piu’ picolo del mio fratello piu’ crante ma pero’ per la mia madre era come uno capo della famiglia. Ma tutte conte che io mi trava che poie non mi anno riuscito per niente, perche’ la querra piu’ assaie impuriava e piu’ assaie soldate morevino. Poie magare tutte li ciornale portavino che dovevino pasare unaltra visita per tutte quelle che avevino state reformate perche’ erino malate, e magare quelle che non avevino revato alla misura di 155 centimetre dartezza. Quinte la querra si stapeva facento difficile assaie. Recordo che come entravo lanno del 1917 nella nostra famiglia ci la dovemmo passare piu’ megliore delli altre anne. Aveva assaie tempo che non faciammo festa nella nostra casa, perche’ erimo state di lutto per quella morte dello mio padre, quinte recordo che neanche per li feste di carnivale avemmo manciato pasta asciutta con il suco e carne di maiale, ma solo fave e cice e pasta e fasuola per fare ecanumia. Ma ora, con questo carnivale che vineva del 1917, che vineva il 20 febraio, avemmo diciso che ci dovemmo livarene questo lutto e vestirene a colore, dognuno come ci piaceva, e magare di antare a ballare. Infatte nel nostro dammuso, che era di 6 metre quatrate, avemmo deciso che alla ciornata di carnevale, noie e magare li nostre vicine, dovemmo aballare dentra alla nostra casa. Avemmo immetato a uno certo massaro Rafaele Locifuore, che questo ci aveva larecanetto, e questo era il nostro suonatore. Quinte recordo che per quella festa di carnevale ci dovemmo trovare tutte 7 figlie presente, li solde ce li abiammo e quinte avemmo compirato 2 chila di carne di maiale e magare 2 chila di bacala’ per farlo fritto, e poie che io aveva stato a lavorare alla contrada Contessa per 20 ciorna, che aveva portato 10 litra di vino forte a 18 crade, e poie che avemmo magare 4 chili di fave atorrate e la mia madre a’ compirato 3 chila di pasta di quelle crosse chiamate macarone. Quinte piu’ felice di noie ci nerino poco famiglie, perche’ cera la querra e tutte ci avevino li figlie soldate e li marite soldate, mentre la mia madre di soldato non ci aveva a nessuno. Io era lo piu’ felice di tutta la famiglia perche’ aveva deventato crante di 17 anne e con questa festa da ballo, che dovemmo fare dentra la nostra casa, aveva sincaliato una piciotedda che mi ci voleva spiagare per poi magare fareme fedanzato. Ma questa mia feliceta’ subito si a’ fenito. Mentre che manciammo queste maledette macaroni abiammo sentito abbussare la porta, che la mia madre si arzato per vedere chi era, e come aperto laporta a’ trovato a uno carabiniere che ci a’ detto co una crante importanza: Signura che ene leie la madre di questo ciovenotto che si chiama Rabito Vincenzo? La mia madre tutta tremante ci a’ detto di si e il carabiniere ci a’ detto: Non tremasse signora che io non sono venuto per arestare al suo figlio, ma sono venuto per direce che il suo figlio Vincenzo questa notte deve partire per antare a fare il soldato, che se non volisse partire lo faciammo partire atacato noie carabiniere!

Cosi il carabiniere partio e lasciavo alla mia madre piancento davanti alla porta.

Che bella festa di carnivale che si a’ fatto! Che bella balata che Vincenzo Rabito si a’ fatto! Che bello fedanzamento che si doveva fare! Che doveva partire per soldato e per subito antare alla querra per fareme amazzare! Che bella feliceta’ che era questa! Ma non era io solo che doveva partire, erimo 35 solo di Chiaramonte, tutte piciotte nate deie prime 4 mese del 1899, e non cera tanto di piancere perche’ si dice che il pricolo in comune e’ menzo devertemento.

Recordo che li carabiniere a Chiaramonte erino 8, che 2 anno fatto il servizio nel paese e li altre 6 si ne sono antate in campagna antare avisare a tutte li piciotte che abitavino nelle campagne, che magare si anno portato 2 uomine di piazza che sonavano il tamporino. Quinte alla sera stessa del 20 febraio li piciotte, che erimo tutte 35, ci abiammo trovato nella Piazza di Chiaramonte e cerino magare li 35 famiglie di queste che dovemmo partere, 35 famiglie che piancevino perche’ non zi tratava piu’ una festa di carnivale ma si tratava di antare a morire in questa sanquinosa querra. La piazza di Chiaramonte si a’ fatto piena di carrette e di mule e di parente di noie soldate, che dovemmo partire per antare a raciuncere il crante paese chiamato Modeca, che il destretto era a Modica e non a Raqusa, perche’ Raqusa in quelle tiempe non era una provincia ma la provincia era a Siraqusa.